La Cassazione torna a pronunciarsi sul reato di frode in commercio e sulla vendita di alimenti scaduti, chiarendo se il reato sia configurabile anche quando si tratti di materie prime scadute ma non dirette al consumatore finale bensì ad utilizzatori intermedi della catena commerciale del settore alimentare.
La tentata frode per vendita di alimenti scaduti
Al titolare di un’azienda operante nel settore della lavorazione e trasformazione di alimenti venivano sequestrati alcuni fusti di materie prime contenenti funghi, olive e cavoli in salamoia con l’accusa di tentata frode in commercio per aver posto in essere atti diretti in modo non equivoco a consegnare a potenziali acquirenti prodotti alimentari scaduti di validità e già oggetto di diverse rivalutazioni poco trasparenti e formalmente non corrette in quanto prive di alcuna traccia documentale (analisi di laboratorio, schede di valutazione sensoriale).
Prodotti aventi, quindi, caratteristiche qualitative inferiori rispetto a quelle stabilite dai rispettivi produttori e detenuti per la successiva lavorazione e commercializzazione.
La difesa: gli alimenti non destinati al consumatore finale
Secondo la difesa dell’imprenditore, però, il sequestro sarebbe stato illegittimo perché la data di scadenza deve essere apposta sui prodotti alimentari solo ed esclusivamente quando essi si trovino nella loro definitiva confezione, destinata al consumatore finale.
Le merci sequestrate, invece, erano dirette ad essere immesse sul mercato solo all’esito di complessi e indispensabili processi di trasformazione, tant’è che esse erano conservate in un’area esterna all’azienda in grandi fusti sui quali, pur non essendoci alcuna data di scadenza, era, comunque, applicato un codice a barre dal quale individuare la scadenza assegnata a quel lotto.
La vicenda trattata dalla Cassazione con la sentenza in commento offre, dunque, uno spunto per capire su quali prodotti alimentari debba essere apposto il termine minimo di conservazione, ossia la data di preferibile consumazione, e quali siano le conseguenze in caso di mancato rispetto della norma.
In particolare, può configurarsi il reato di frode in commercio, seppur nella forma del tentativo, in relazione a prodotti alimentari scaduti che, però, non siano destinati al cosumatore finale ma debbano essere sottoposti ad altri processi di trasformazione?
Cos’è il TMC e quali alimenti devono riportarlo
Il termine minimo di conservazione (TMC) è definito dalla normativa europea come la data fino alla quale il prodotto conserva le sue proprietà specifiche in adeguate condizioni di conservazione.
Esso è valido con riferimento solo al prodotto finale destinato alla vendita mentre non riguarda le materie prime soggette ad ulteriori trasformazioni prima di arrivare al consumatore finale che sono alimenti non soggetti all’indicazione della data di scadenza né all’obbligo di indicazione del tempo minimo di conservazione.
Si tratta, perciò, di una garanzia nei confronti del consumatore finale, stabilito discrezionalmente dall’operatore che confeziona l’alimento ma, differentemente dalla data di scadenza, non è un limite invalicabile quanto, piuttosto, una data consigliata per il consumo del prodotto.
Nel caso di specie, il codice a barra posto sui fusti contenenti la merce sequestrata rappresentava una mera informazione volontaria usata dalla ditta per una migliore gestione interna degli alimenti e, dunque, un dato puramente indicativo delle merci e della procedura di rivalutazione qualitativa delle stesse.
In particolare, tale procedura di rivalutazione è una pratica lecita compiuta da tutte le aziende ogni volta che essa sia ritenuta necessaria, purché vi sia una coerenza tra la data riportata sul documento commerciale e quella dell’eventuale etichetta applicata sul prodotto finale messo in commercio.
Vendita di alimenti scaduti: la tentata frode in commercio per quelli non diretti al consumatore finale
I giudici della Cassazione con la decisione in commento hanno stabilito che il sequestro dei prodotti effettuato dalla Procura e l’ipotesi del tentativo di frode in commercio nel caso di specie fosse fondato.
Infatti, in tema di frode nell’esercizio del commercio, mentre la fattispecie consumata è integrata dalla consegna materiale della merce all’acquirente, per la configurabilità del tentativo non è necessaria la sussistenza di una contrattazione finalizzata alla vendita ma è sufficiente l’accertamento della destinazione alla vendita di un prodotto diverso per origine, provenienza, qualità o quantità da quelle dichiarate o pattuite.
Tale destinazione si può configurare non solo nei confronti dei consumatori finali, ma anche, come nel caso di specie, degli utilizzatori commerciali intermedi.
Una pronuncia che si traduce in una utile indicazione operativa per gli addetti al settore alimentare, nell’ottica di tutelare il primario interesse alla lealtà e correttezza del commercio, di qualsivoglia fase del medesimo si tratti, specie quando oggetto ne siano gli alimenti e, perciò, la loro genuinità.
Avv. Anna Ancona
Tratto dall’articolo di