Studio USA: questa cattiva abitudine si associa all’aumento della probabilità di morte prima dei 75 anni
La valutazione delle possibili associazioni tra apporto di sodio con la dieta e salute non può prescindere dall’analisi del sale che viene aggiunto ai cibi a tavola, che rappresenta circa il 6-20 % della quota totale che viene assunta quotidianamente.
Nello studio condotto analizzando la frequenza di consumo di sale a tavola e il sodio escreto con le urine nelle 24 ore in oltre 500.000 uomini e donne afferenti alla UK Biobank, è emerso infatti che la frequenza con la quale si aggiunge sale ai pasti determina un maggiore apporto di sodio nell’arco della giornata, e si associa a un aumento del rischio di mortalità per tutte le cause e a una minore aspettativa di vita.
Il lavoro è stato coordinato dal Department of Epidemiology, School of Public Health and Tropical Medicine della Tulane University di New Orleans, e pubblicato sullo European Heart Journal.
Nel corso di 9 anni di follow-up, è emerso in particolare che il rischio di morte prematura, e cioè prima dei 75 anni, è risultato maggiore del 28% per coloro che salavano frequentemente gli alimenti a tavola rispetto a coloro che non erano abituati a farlo o che lo facevano solo raramente.
Inoltre, l’aspettativa di vita all’età di 50 anni per le donne e per gli uomini che erano abituati ad aggiungere regolarmente sale ai propri cibi risultava ridotta, rispettivamente, di 1.5 e 2.2 anni, rispetto ai coetanei che non salavano mai o raramente.
Il consumo di alimenti ricchi in potassio, come frutta e verdura, attenuava invece, almeno in parte, l’associazione osservata tra l’aggiunta di sale agli alimenti e la mortalità.
Questi risultati suggeriscono quindi che anche una modesta riduzione dell’assunzione giornaliera di sodio, attuabile riducendo semplicemente la frequenza di consumo di sale a tavola, possa comportare sostanziali benefici per la salute pubblica.
Non va tuttavia sottovalutato che l’aggiunta di sale a tavola può anche semplicemente riflettere la preferenza per cibi più appetibili e rappresentare quindi un marker di stile alimentare, e di vita, inappropriato, e non necessariamente essere la causa diretta delle patologie osservate.