È una “plastica” di origine organica, compostabile e circolare. Si ricava dal latte scaduto ed è un’invenzione della start up dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata, tra le 50 imprese guidate da donne selezionate dalla Commissione europea per l’elevatissimo contenuto tecnologico
I pesci nuotano in oceani di plastiche, spesso le ingeriscono o si impigliano in esse e muoiono. Si stima che nel 2018 siano stati prodotti 448 milioni di tonnellate di rifiuti in plastica, molti dei quali finiti in mare. Noi, che cosa possiamo fare? È quello che si è chiesto un gruppo di ricercatrici della Macroarea di Scienze dell’Università degli studi di Roma Tor Vergata. Una domanda semplice che ha portato alla nascita di , spin off e start up dedicata alla produzione di materiali innovativi in grado di riprodurre le stesse prestazioni meccaniche delle plastiche da origine fossile, ma al contrario di esse, capaci di essere smaltite nel nostro ambiente. Il materiale messo a punto dalle chimiche Emanuela Gatto, Valentina Armuzza e Raffaella Lettieri, affiancate dall’economista Graziano Massaro per gli aspetti amministrativi, è biodegradabile e compostabile, oltre ad essere prodotto in ottica circolare e sostenibile.
Una innovazione che è valsa alla start up italiana un posto nella liste delle prime 50 aziende individuate dal nuovo programma pilota della Commissione europea a sostegno delle start-up guidate da donne a elevatissimo contenuto tecnologico. Il finanziamento per sostenere le fasi iniziali del processo di innovazione e la crescita dell’impresa è di 75.000 euro.
È una questione di chimica
Abbiamo chiesto a Emanuela Gatto, docente di chimica fisica per il corso di laurea in Scienza dei materiali, nonché responsabile del progetto, di spiegarci l’aspetto innovativo di e ripassare per noi qualche concetto base di chimica per capire meglio qual è la differenza sostanziale tra materiali naturali e non. Nelle sue parole non c’è alcuna intenzione di demonizzare la plastica, che è stata un’invenzione preziosa per l’uomo, frutto di ricerche valse il premio Nobel per la chimica all’italiano Giulio Natta.
“La plastica di origine fossile viene sintetizzata dall’uomo utilizzando monomeri (molecole) che vengono legati l’uno all’altro, come le perle di una collana, per diventare polimeri – spiega – Invece il nostro approccio utilizza polimeri già esistenti in natura e parte da questi per realizzare materiali sostenibili per l’ambiente”.
I polimeri naturali, come amido e cellulosa, sono dunque delle macromolecole che si trovano in natura e che, per le proprie proprietà chimiche, possono essere utilizzate per varie applicazioni materiali ma, al contrario dei polimeri completamente sintetizzati dall’uomo, sono anche in grado di degradarsi senza residui dannosi.
Da latte scaduto a materiale innovativo
SPlastica è dunque un nuovo materiale realizzato a partire da scarti organici. È resistente, ma anche completamente biodegradabile e si trasforma naturalmente in compost in 60-90 giorni.
Più precisamente, nei laboratori di Tor Vergata, a partire dal latte scaduto, si producono senza solventi organici, con una temperatura al minimo e ridotte quantità di acqua, i granuli di plastica che nella loro applicazione industriale potranno essere trasformati in oggetti di ogni sorta.
Il materiale si chiama “SP-milk” ed è oggi alla prova più difficile: passare dalla produzione in scala di laboratorio a quella industriale.
“Grazie al finanziamento della Regione Lazio – prosegue Gatto – stiamo facendo i test industriali e stiamo collaborando con una azienda che stampa plastica per oggetti di vario tipo. Le prestazioni meccaniche del nostro nuovo materiale stanno dando risultati molto promettenti”.
Sul sito della start up sono già presenti alcuni esempi di oggetti in “splastica”: tappi, bastoncini per girare il caffè, portachiavi, etc. ma gli usi potranno essere i più disparati. Il materiale è anche filmabile per la realizzazione di pellicole salva alimenti e potrebbe essere adatto, nella sua declinazione industriale, a realizzare oggetti monouso, di cui ancora in molti casi non riusciamo a fare a meno.
Le nuove generazioni ci guardano
In quanto progetto universitario, Splastica non è solo un’avventura industriale in grado di creare utili economici e occupazione. La sua ragione è anche divulgativa e di sensibilizzazione. Gli studenti di oggi sono sempre più consapevoli e informati sul problema dell’inquinamento da plastiche e sulla crisi climatica che stiamo vivendo. L’avventura industriale delle studiose italiane è alimentata anche da una coscienza ambientale e materna, che ha visto in questi anni crescere la consapevolezza e anche la chiamata delle nuove generazioni a fare qualcosa.
“Io ho una figlia e un figlio, rispettivamente di 12 e 7 anni, – ci dice ancora Emanuela Gatto – è con in mente i diritti delle future generazioni che abbiamo intrapreso questa avventura e messo al servizio dell’ambiente quello che sappiamo fare”.