Secondo l’Oms gli zuccheri aggiunti non dovrebbero superare il 10% delle calorie giornaliere.

Ma ciò non significa che basta sostituire lo zucchero con un dolcificante come la stevia o l’aspartame per continuare a consumare alimenti e bevande dolci.

In altre parole “i dolcificanti non devono essere utilizzati come strumenti per perdere peso o per ridurre il rischio di malattie non trasmissibili”.

Così si legge nella bozza della nuova linea guida sull’uso degli edulcoranti, che contiene anche una definizione dei dolcificanti come sostanze (naturali o artificiali) che non possono essere classificate come zuccheri e non contengono calorie. Il documento non indica una lista esaustiva di tutto ciò che può rientrare nella definizione, ma sono comunque già citati il sucralosio, l’aspartame, la saccarina, l’acesulfame-K, il neotame, l’advantame, la stevia, il monk fruit (o frutto del monaco) a titolo di esempio.

Vengono esclusi invece gli zuccheri derivati dall’alcol, così come, tra i destinatari, i diabetici, che devono seguire regole specifiche. La lista finale potrebbe contenere anche altre sostanze, visto che, per esempio, una metanalisi e revisione sistematica pubblicata dalla stessa Oms lo scorso aprile citava anche dolcificanti a calorie bassissime come l’allulosio (0,4 calorie per grammo), facendoli rientrare nelle stessa categoria.

Per quanto riguarda la salute, la bozza li sconsiglia esplicitamente e sottolinea come tutti questi dolcificanti siano utilizzati per produrre alimenti di scarsa qualità, a pieno titolo ascrivibili al junk food.

Il tentativo è di attrarre clienti con l’idea delle calorie zero, non certo quello di aiutare i consumatori ad adottare una dieta più sana. In altre parole, sostituire lo zucchero con un dolcificante non rende migliore un alimento povero dal punto di vista nutrizionale, anzi. E non è tutto. Come emerso nella metanalisi, anche se nell’immediato ci può essere qualche beneficio sul peso, si legge ancora nel testo, si tratta di effetti che non durano.

Inoltre, nel lungo termine, sono le conseguenze negative a prevalere, compresi un aumento del rischio di sviluppare diverse malattie quali il diabete, l’obesità e le patologie cardiovascolari, nonché qualche possibile pericolo in gravidanza, per esempio di parto prematuro: effetti che sopravanzano decisamente i possibili benefici del breve periodo.

Questi ultimi sono associati soprattutto alla lieve diminuzione dose-dipendente del peso o dell’indice di massa corporea rilevate in alcuni studi controllati, e visibile sia tra gli adulti che tra i bambini. Ma che si tratti di una sorta di illusione è confermato da numerosi studi osservazionali (che cioè non dimostrano un nesso di causa ed effetto, ma solo l’esistenza di una correlazione tra due fenomeni), che hanno valutato dati relativi a periodi anche di dieci anni, e fatto emergere, in chi consuma dolcificanti, un aumento di diabete di tipo 2, patologie cardiovascolari e obesità.

Secondo FoodNavigator, il Calorie Control Council, associazione che riunisce alcuni dei più grandi produttori o utilizzatori al mondo di dolcificanti come Cargill, Coca-Cola, PepsiCo, Tate & Lyle, si è detto sconcertato dal contenuto della bozza, dal momento che è dimostrato che gli edulcoranti aiutano a perdere peso, a controllare la glicemia e a tenere sotto controllo calorie e zuccheri assunti. E, a sostegno della tesi, ha citato il fatto che molte delle affermazioni contenute nella bozza si riferiscono agli studi utilizzando i verbi al condizionale, scelta che suggerirebbe una certa debolezza delle evidenze scientifiche, quando esistenti. Inoltre non ci sarebbero riferimenti ai possibili effetti positivi, e questa vistosa assenza, oltre a dare una visione parziale di ciò che si sa, scoraggerebbe i clienti, contribuendo a riportarli verso alimenti più calorici.